FAQ

FAQDomande frequenti

Il termine Confidi è l’acronimo di “consorzio di garanzia collettiva dei fidi” e si tratta di un consorzio che aiuta le PMI a ottenere mutui e presti dalle banche e dagli istituti di credito.

Sono sempre di più le imprese che chiedono un prestito agli istituti bancari ma si vedono negata questa possibilità.

Le motivazioni sono tante, la principale è che molte aziende, soprattutto quelle di piccole dimensioni, non hanno un  patrimonio alle spalle. Ciò significa che non danno alle banche abbastanza garanzie per poter ottenere l’ambito credito.

I Confidi nascono proprio per ovviare questo problema.

La garanzia consortile è un’obbligazione che il Confidi assume verso un terzo creditore, che può essere una Banca e/o un Intermediario Finanziario convenzionati, per assicurare l’adempimento di una obbligazione (tipicamente, la restituzione di un prestito) di un’impresa socia che quindi assume la veste di debitore principale.

La garanzia pertanto assume la veste di una obbligazione accessoria. Quindi, se non sorge o si estingue l’obbligazione principale assunta dall’impresa socia, viene meno anche l’efficacia dell’obbligazione accessoria assunta dal Confidi. La garanzia consortile viene rilasciata per iscritto tramite l’invio di un certificato di garanzia all’impresa socia e al soggetto finanziatore convenzionato con il Confidi.

Per l’erogazione di garanzie, tipicamente i Confidi ricorrono all’utilizzo di un fondo consortile, costituito dal capitale sociale formato con le quote di partecipazione versate dai soci e con contributi versati da eventuali enti  (amministrazioni pubbliche, associazioni imprenditoriali di garanzia e grandi aziende) nonché da un fondo di garanzia o fondi rischi. Tali fondi possono essere costituiti da contributi delle imprese associate e anche da fondi di origine pubblica (contributi delle regioni, delle Camere di Commercio o provenienti dall’Unione Europea) .

La riforma del Titolo V (D.lgs. n. 141/2010 e successivi decreti attuativi) ha ancor più allineato la disciplina dei Confidi maggiori agli Intermediari Finanziari in termini di soggezione al controllo dell’Autorità di Vigilanza (vigilanza ispettiva, regolamentare e informativa), richiedendone l’iscrizione all’albo ex art. 106 TUB.

Un regime particolare è stato mantenuto per i Confidi minori, introducendo un sistema di vigilanza, seppure meno stringente rispetto ai confidi maggiori ed affidando la supervisione degli operatori ad un Organismo all’uopo costituito (ex art. 112 bis TUB).

Il fondo di garanzia assume due forme:

a) quella di fondo monetario, alimentato dai contributi degli associati, degli enti pubblici e privati. Configura una riserva di liquidità, in parte liberamente utilizzabile per investimenti (in genere, poste altamente smobilizzabili) e in parte vincolata a garanzia. La parte vincolata rappresenta la quota cui la banca può attingere in caso di default del debitore e si configura come un deposito in denaro a titolo di pegno irregolare. Esso, pertanto,, rappresenta una garanzia reale. In alcuni casi, il fondo monetario viene utilizzato in operazioni di tranched cover a copertura delle prime perdite di un portafoglio crediti (della banca) segmentato (tranching);

b) quella di un fondo fideiussorio, composto da garanzie fideiussorie rilasciate dalle imprese associate alle banche convenzionate. Con questa forma di garanzia personale, si viene a creare un problema di escussione ad personam e pro quota nei confronti degli aderenti ai Confidi, occorre quindi definire dei contratti chiari per evitare il litigation risk (rischio di contenziosi legali).

Il fondo di garanzia ha una duplice funzione: quello di coprire le perdite derivanti da crediti assistiti dalla garanzia mutualistica e quello di concorrere alla determinazione dell’importo di credito garantito e quindi erogabile alle imprese, poiché è la base di riferimento per il calcolo del moltiplicatore.

Il credito massimo concedibile dalla banca al complesso delle imprese consorziate è un multiplo, denominato moltiplicatore, dell’ammontare del fondo di garanzia. Il moltiplicatore è la grandezza che lega la dimensione del fondi di garanzia all’ammontare dei finanziamenti erogabili indicando quante volte può essere moltiplicato il fondo di garanzia per pervenire alla quantità massima di credito accordabile.

La definizione del moltiplicatore è frutto, in genere, di una negoziazione tra banca e intermediario di garanzia. Mediamente in Italia il moltiplicatore si concentra su livelli compresi tra 11 e 20, con alcuni eccezioni relative a pochi Confidi i cui moltiplicatori configurano valori superiori a 30.

L’attività di concessione di garanzie presuppone un processo standard che si suddivide in una serie di passaggi. In primo luogo, l’impresa si rivolge al Confidi per ottenere una garanzia su un finanziamento bancario.

Il Confidi procede allora alla sua istruttoria per pervenire a una valutazione del merito creditizio del soggetto richiedente. Qualora l’esito sia positivo, rilascia la sua garanzia.

Ovviamente questa attività ha un suo prezzo: anche se si tratta di soggetti che non operano secondo la logica del profitto, sono comunque imprese e, in quanto tali, tenute a rispettare un vincolo di economicità per garantirsi autonomia gestionale e sostenibilità nella crescita.

L’impresa che si rivolge al Confidi verserà una quota associativa (è necessario essere associati se si vuole usufruire dei servizi offerti dal Confidi), un contributo a fondo rischi, più una commissione passiva.

Nel caso in cui il credito concesso dalla banca al soggetto garantito entri in situazione di difficoltà persistente e determini escussione da parte della banca nei confronti del Confidi, quest’ultimo si rivale sull’obbligato principale con azioni di recupero per recuperare parte delle perdite determinate dall’escussione.

L’escussione da parte della banca, questa è legata al tipo di garanzia concessa dal Confidi.

Qualora sia rilasciata una garanzia sussidiaria, al verificarsi del mancato rimborso da parte dell’impresa garantita, la banca provvede ad inviare all’impresa l’intimazione al pagamento dell’ammontare dell’esposizione (rate insolute, capitale residuo e interessi di mora) e ricorre a tutte le azioni legali necessarie al recupero del credito.

Una volta che si sono concluse le procedure stragiudiziali e giudiziali di recupero intraprese dalla stessa, qualora non ci sia stato il rimborso integrale degli importi dovuti da parte dell’impresa (o il rimborso sia solo parziale), l’istituto di credito può richiedere l’attivazione della garanzia prestata dal Confidi – nei limiti della percentuale deliberata – a copertura della perdita definitiva subita.

A seconda delle convenzioni siglate con le banche, il Confidi remunera la perdita definitiva nel limite rappresentato dalla capienza dei fondi rischi monetari convenzionalmente vincolati a favore dell’istituto di credito (operazione con cap) oppure anche oltre tale limite.

Quindi la banca potrà accedere al fondo del Confidi solo in via sussidiaria, ovvero dopo aver escusso il debitore principale ed eventuali fideiussori.

Nel caso di una garanzia a prima richiesta il Confidi risponde delle obbligazioni assunte (garanzie rilasciate) al momento del verificarsi del default dell’azienda, e viene escusso a semplice richiesta della Banca garantita. Le azioni di recupero sull’obbligato principale e sui controgaranti sono poi a carico del Confidi stesso.

Il Confidi interviene tipicamente al momento dell’appostazione a sofferenza (più raramente, a incaglio) dei debitori originari da parte della banca. Il pagamento può avvenire attraverso la corresponsione di una somma in acconto e con un conguaglio al termine delle procedure esecutive. La copertura delle perdite sostenute dalla banca convenzionata è generalmente parziale.

Le garanzie sono uno strumento di contenimento/mitigazione del rischio di credito da sempre utilizzato dagli intermediari bancari.

La presenza delle garanzie non modifica la rischiosità della controparte affidata di divenire inadempiente, ma contribuisce a facilitare il recupero del credito in caso di inadempimento del debitore principale, attenua l’impatto negativo delle asimmetrie informative sulla gestione dei prestiti e diminuisce il tasso di interesse richiesto.

Le garanzie nel corso del tempo hanno assunto un valore “di vigilanza” nell’industria finanziaria in seguito all’introduzione della normativa sulla Credit Risk Mitigation.

Già le disposizioni di vigilanza successive all’Accordo “Basilea 2” avevano valorizzato la possibilità di ridurre gli assorbimenti patrimoniali in presenza di tecniche di attenuazione del rischio di credito.

Avevano, inoltre, ampliato la gamma di strumenti che le banche possono ammettere a fini prudenziali, seppur condizionatamente all’osservanza di precisi vincoli (certezza giuridica, tempestività di realizzo, irrevocabilità,ecc.), diversi a seconda che le garanzie siano reali o personali.

L’impianto normativo successivo all’Accordo “Basilea 3” ha riproposto le disposizioni in materia di mitigazione del rischio di credito.

Il momento ideale per entrare a far parte di un Consorzio di Garanzia è la nascita di una piccola impresa oppure il momento in cui un’impresa già esistente comincia a lavorare a un nuovo progetto.

In entrambe queste fasi, infatti, spesso gli imprenditori si ritrovano senza i mezzi finanziari necessari a sostenere sul lungo periodo la realizzazione di tutte le fasi dei propri progetti. Per favorire l’accesso al credito potrebbe essere utile rivolgersi ad un consorzio di garanzia.

La funzione di garante esercitata da un Consorzio consente quindi ai piccoli imprenditori o alle piccole imprese di accedere alla liquidità necessaria ad avviare un nuovo corso della propria vita.

Ne deriva che le start up sono i principali interlocutori dei Consorzi di Garanzia, anche perché potranno accedere a tassi di interesse di credito più bassi rispetto a quelli normalmente praticati dalle banche.

Inoltre, i Consorzi normalmente svolgono anche la funzione di tutor, indirizzando e consigliando l’imprenditore su quale siano le fonti di finanziamento più adeguate al progetto o allo scopo dell’imprenditore.

La Centrale dei Rischi (CR), gestita dalla Banca d’Italia, è una base dati – cioè un archivio di informazioni – sui debiti di famiglie e imprese nei confronti del sistema bancario e finanziario. La CR è alimentata dalle informazioni che gli intermediari partecipanti (banche, società finanziarie e altri intermediari) trasmettono relativamente ai crediti e alle garanzie concessi alla propria clientela, alle garanzie ricevute dai propri clienti e ai finanziamenti o garanzie acquistati da altri intermediari.

È prevista una soglia di rilevazione: il cliente è segnalato se l’importo che deve restituire all’intermediario è pari o superiore a 30.000 euro; questa soglia si abbassa a 250 euro se il cliente è in sofferenza.

In tema di segnalazione in Centrale Rischi, la principale fonte normative è la Circolare Banca d’Italia n° 139 dell’11/2/1991, nel suo 19° aggiornamento reso nel febbraio del 2020.

Esposizione scaduta e sconfinata

Giova anticipare che significative implicazioni sul patrimonio di vigilanza e sulle necessità di incrementare le riserve della banca scattano solo in caso di inadempimenti continuati maggiore a 90 giorni (anche se su una sola linea di credito).

Sotto questo livello, pur registrandosi uno  sconfino/insoluto, non si rientra in questa classificazione penalizzante. In Centrale Rischi, infatti, non scattano segnalazioni particolari: a sistema, non si avrà nulla che vada al di là di una segnalazione di sconfino/insoluto.

Passaggio ad “incaglio”

Classificare un rapporto come in “incaglio” è indice di perdurante situazione di difficoltà. Il cliente si trova in obiettive difficoltà temporanee tali da causare ripetuti ritardi.

E’ importante che non si verifichi un’eccesiva continuità nel ritardo a rientrare dalla esposizione debitoria in quanto questa situazione non andrebbe ad avvalorare il concetto di probabile risanamento della posizione.

L’incaglio interviene nei seguenti casi:

a. in presenza di notifica del pignoramento nei mutui ipotecari per acquisto civile abitazione;

b. in tutti gli altri casi in cui si verificano contemporaneamente due condizioni:

1) inadempimenti continuati maggiori di 150 giorni per crediti al consumo con durata originaria minore di 3 anni; maggiore di 180 giorni per crediti al consumo con durata originaria maggiore di 3 anni; maggiore di 270 giorni in tutti gli altri casi.

2) per privati e piccole-medie imprese, l’esposizione è superiore ai 100 euro e superiore all’1% del totale delle esposizioni verso la Banca; per le imprese maggiori, l’esposizione è superiore ai 500 euro e superiore all’1% del totale delle esposizioni verso la Banca.

Passaggio a “credito ristrutturato”

In questo caso la banca acconsente a modifiche contrattuali funzionali ad agevolare il cliente nel rientro dalla esposizione debitoria. Se una volta ristrutturata la posizione il cliente dovesse risultare nuovamente insolvente per più di 30 giorni (periodo di grazia) alla banca è concessa la facoltà di classificare il rapporto direttamente come “in sofferenza”.

I requisiti per questa segnalazione, oltre alle modifiche contrattuali, sono:

a. Precedente status di “incaglio” o di credito deteriorato (inadempimento maggiore di
180 giorni);

b. Qualora il cliente abbia instaurato più rapporti contemporanei con diversi istituti di credito, non rileva che con alcuni di questi vi siano situazioni in bonis;

c. Se la ristrutturazione causa una perdita alla banca nei casi di status in bonis o di inadempimento minore di 180  giorni (l’inadempimento  deve  comunque  derivare  da  un deterioramento della situazione economica-finanziaria del cliente).

Classificazione  in “stato di insolvenza” o inadempimento probabile

Rientrano in questa classificazione, i cosiddetti “UTP”, ossia Unlikely to Pay, crediti cioè verosimilmente irrecuperabili, anche se, in via teorica, tali posizioni potrebbero essere ancora sanate anche attraverso specifiche azioni di rilancio operativo dell’asset produttivo del cliente.

In questi casi le banche intervengono  attraverso  una  ristrutturazione del credito, ossia delle  transazioni con il cliente anche a costo di subire una ulteriore perdita.

Il passaggio “a  sofferenza”

Col passaggio a soffernza, la banca ha motivo di ritenere che il credito sia ormai irrecuperabile. Per sofferenza, infatti, si intende comunemente uno status di persistente (e non transitoria) instabilità patrimoniale e finanziaria idonea ad intralciare il recupero del credito da parte dell’intermediario.

L’appostazione a sofferenza, invero, non scaturisce automaticamente nè da un mero  ritardo  nei  pagamenti e neppure dalla esistenza o meno di una   garanzia;  la segnalazione è frutto, invece, di un’attenta valutazione della posizione complessiva del cliente. Tale condizione potrebbe non intervenire se il cliente si adoperi tempestivamente a ripianare il debito anche attraverso piani di ripianamento o ristrutturazione.

Prima di passare una posizione in sofferenza, l’intermediario procedere con la formale revoca degli affidamenti preannunciata da una comunicazione ufficiale al cliente. Anche lo status di sofferenza dovrà essere preventivamente comunicato al cliente da parte della banca proprio allo scopo di permettere il medesimo cliente ad evitare tale conseguenza attraverso il rientro dalla esposizione debitoria.

Il passaggio “a perdita”

Ricadono in questa categoria quei crediti per i quali la banca ha definitivamente deliberato sulla loro non esigibilità. Il passaggio a perdita può determinarsi da fattori esterni come la definizione di un procedimento giudiziale che ha rideterminato, in negativo, il credito in favore del titolare ovvero può derivare da scelte più soggettive come l’accettazione di una proposta di saldo e stralcio.

Una volta passata la posizione a perdita, essa, a decorrere dal mese successivo, non comparirà più in Centrale Rischi.

Tale fenomeno, tuttavia, non “libera” il soggetto segnalato dal peso delle segnalazioni in quanto a sistema risulterà sempre prima la segnalazione di sofferenza e poi quella di “credito in sofferenza a perdita”.

Solo dopo 36 mesi dalla chiusura della posizione il debitore avrà la certezza che il sistema non potrà vedere tali segnalazioni (e ciò in ragione del fatto che gli intermediari finanziari non potranno consultarne quei dati).

Conosci la legge cancellazione CRIF 2021?

Per chi non ha rimborsato un debito, la segnalazione al CRIF dura massimo 5 anni dal momento in cui il contratto è scaduto.

Per i ritardi nei pagamenti di non più di due mesi o per non più di due rate, il tempo della segnalazione è pari a un anno.

Si sale a due anni per i ritardi di più di due rate o di più di due mesi.

Per un prestito non pagato?

La cancellazione dal CRIF avviene dopo 5 anni da quando il contratto è scaduto, ma può cambiare con versamenti in sospeso.

Dopo che è stato richiesto un finanziamento, i dati rimangono registrati per 180 giorni, o solo per 90 giorni se il finanziamento non si concretizza. Per esempio perché il richiedente vi rinuncia o perché la banca non accetta di concedere il prestito.

Che cosa bisogna fare per farsi cancellare?

Per la cancellazione CRIF dopo saldo e stralcio o per qualsiasi altro tipo di cancellazione in realtà non si deve fare niente.

L’annullamento avviene in automatico in base ai termini predefiniti. Questo vuol dire che non c’è alcun iter specifico da attivare.

Non ci sono liberatorie da firmare e non c’è bisogno di rivolgersi alla banca o alla finanziaria per l’oscuramento dal CRIF.

Sono i sistemi creditizi che se ne occupano in automatico.

I dati sono conservati per tre mesi quando uno stato pratica viene aggiornato come rifiuto o come rinuncia.

I mesi diventano 6 se lo stato è di richiesta.

Come ti possiamo aiutare?

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